Una riflessione sul rapporto tra natura e arte, a Grenoble

Ancora fino al 19 marzo sarà possibile visitare a Grenoble, Capitale Verde Europea per il 2022, la mostra “De la Nature”. Una riflessione che coinvolge 4 artisti, Philippe Cognée, Cristina Iglesias, Wolfgang Laib e Giuseppe Penone. Chiamati ad indagare il rapporto tra arte natura.

Il rapporto dell’uomo con la natura appare già come uno dei temi principali del XXI secolo. La consapevolezza ecologica su scala planetaria che ha segnato gli ultimi due decenni è in procinto di sconvolgere una serie di sistemi di pensiero in campi così diversi comme quelli dell’economia, sociale, politico o culturale… Questa questione del legame tra gli esseri umani e il loro ambiente non è nuovo. Si situa addirittura alla base delle origini dell’umanità e nasce, infatti, dal momento in cui l’homo sapiens inizia a concettualizzare ciò che lo circumda, in particolare attraverso i disegni e le pitture rupestri.
Per tornare a questo tema determinante della creazione artistica, i quattro artisti ospiti che, peraltro, sono già stati presentati a Grenoble in occasione di mostre monografiche, selezionati da ambizione molto diversi e permetteranno, grazie alle loro originali proposte plastiche, di illuminare sotto ambizioni decisamente originali e aspetti singolari di questa relazione. Così per Philippe Cognée, unico pittore della selezione, il paesaggio appare nella sua opera come contrappunto alle sue vedute urbane che lo hanno fatto conoscere, come espressione di un caos ordinato, luogooriginale e selvaggio allo stesso tempo. e minaccioso. Per Cristina Iglesias la natura si manifesta sotto forma di “motivi decorativi” che sovvertono le forme architettoniche che essa costruisce, riproponendo con ironia e sensualità à la questione del rapporto tra natura e cultura. Con Wolfgang Laib, racconta la natura come parte di un approccio spirituale all’opera d’arte diventa un’offerta alla vita e al Creato. In definitiva, Giuseppe Penone, in un rapport fusionale con gli elementi, rivela le energie che percorrono l’essere umano e lo uniscono in modo consustanziale al suo ambiente di origine, la natura.

Proprio su Penone raccogliamo questo estratto dal catalogo:

Jean Christophe Bailly
Ancora più vicine, le superfici pensose di Giuseppe Penone (estratto)
“Nel maggio del 1969 sono entrato nella foresta dei boschi e ho iniziato un viaggio nel tempo, lento, pensieroso e stupito1”. Queste righe, scritte nel 1991, si riferiscono al periodo delle prime azioni compiute nel bosco, ma in realtà, anche quando lavorava lontano da casa e con materiali diversi dal legno, Giuseppe Penone non è mai uscito da questo percorso che aveva aperto sotto i suoi piedi fin dai primi momenti della sua esperienza artistica. A distanza di oltre mezzo secolo, la quantità di azioni e di risultati accumulati è notevole e costituisce un mondo a sé stante, dove ogni opera o azione, dalla più piccola, tenuta in mano, alla più grande, alta verso il cielo, entra in risonanza con tutte le altre, e in modo tale che invece di trovarci di fronte ad un accumulo, veniamo ogni volta introdotti all’interno di una rete di significati che si propaga come un essere vivente. Ma la grande differenza tra gli anni in cui, a diretto contatto con l’arte povera, Penone iniziò il suo cammino, e oggi, è che il rapporto che gli uomini hanno con ciò che intendono per natura è completamente cambiato, passando da una relativa innocenza – o incoscienza – alla consapevolezza che ogni giorno viene accresciuta da una minaccia che grava sull’esistenza stessa degli esseri viventi. È nel quadro di questa nuova coscienza che dobbiamo accostarci al lungo, lento e abbondante lavoro svolto da Penone, non in direzione del vivente, ma proprio contro di esso, sulla sua stessa pelle. Ciò che viene con la sua arte, con l’azione che esercita sulla realtà – cioè su un intero popolo di materiali, superfici, reti e divenire – è la possibilità, la necessità, per noi, di una conversione. Pienamente dimostrativo ma mai nella forma dell’illustrazione di una causa – anche se ecologicamente corretta – l’opera di Penone si dispiega come un’immensa lezione di cose che sarebbe anche un canto cantato dalla materia stessa.